Quant'ero ragazzino, mi ricordo un
particolare di Palazzello, che quando era tempo della trebbiatura del grano con
i miei compagni andavamo a guardare la trebbia, e quel giorno di lavoro era
anche una festa per noi, si friggevano patate e uova e insalata di pomodori, si
affettavano salami e prosciutto e si spillava il vino dalle botti, si mangiava
all’aperto, seduti in terra, ho lungo i marciapiedi della casa; a tavola con il
contadino e famiglia. Gli operai e i contadini con grande sveltezza prendevano
i covoni uno a uno e girandoli con le spighe all’ingiù, li lasciavano cadere
nella botola della trebbia.
Le balle di paglia pressata erano
accatastate e pronte per essere trasportate nella stalla. Il grano usciva dalla
parte terminale della trebbia, da un bocchettone dotato di due ganci per
appendervi il sacco e di una chiusura in lamiera (śarasìna) con manovella, che era
aperta e richiusa a sacco pieno. Per grandi e piccoli era una festa, chi suonava
l’organetto e chi cantava e ballava tutti in armonia aspettando l’ultima
domenica di luglio per la festa religiosa della Madonna del Carmine di
Palazzello.
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